La partenza.
Inviato: domenica 27 febbraio 2005, 22:26
Un’opportunità.
Una possibilità che ti viene concessa, regalata. Non te l’aspetti, è una cosa che devi cogliere quando ti viene proposta, senza esitazioni.
Tre, forse quattro giorni liberi. E la fantasia corre veloce, velocissima, sente il bisogno incredibile di entrare in possesso di una bella cartina dettagliata che concretizzi la tua possibilità.
Ma la cartina diventa immensa, ti ci perdi la sera, la testa che scoppia mentre scorre avida sulle strade, a cercare di immaginare l’asfalto, i panorami, le curve ed i passi, i tornanti e gli scorci.
E cominci quell’altalena che è fatta di fogli excel in cui annoti precisamente di quante paia di mutande avrai bisogno e di quanti chilometri stimerai di percorrere, e di notti in cui la prima ora a letto è uno scorrere incessante di fantasie di ruote che scivolano veloci su un asfalto sconosciuto.
Il giorno prima ti scopri a mettere sul letto tutto quello che hai elencato sulla lista, a spuntare con una vecchia bic tutto quello che ti serve, a fare mente locale su tutto quello che ti serve.
Intanto la respirazione è accelerata, la testa leggera, una sorda eccitazione distrae dalla preparazione del bagaglio e conduce la mente a quello che sarà il viaggio.
La borsa è pronta, la moto è carica. E’ bella pulita, la catena ingrassata e il rumore che dà è una bellezza. L’olio buono, pronto a lubrificare gli infiniti cicli del motore.
Le ruote gonfie, il serbatoio pieno di carburante, la moto lucida e impaziente.
Richiudi il box, sali le scale lentamente. La cena ha poco sapore, il film fa poca presa sulla tua immaginazione.
Vai a letto, ma il materasso è scomodo, un’asse di legno che ti impedisce di cadere nell’oscuro mondo del sonno.
Continui a riandare a lei, tre piani più sotto. A quelle chiavi appoggiate sopra al tavolo, insieme alla borsa da serbatoio, al portafogli e la cartina.
La mattina arriva prima della sveglia. L’acqua fredda sciacqua via ogni residuo del sonno, l’eccitazione ti sveglia in un secondo e lo sguardo fuori dalla finestra è così carico di voglia di uscire che i tuoi movimenti si fanno rapidi e impazienti.
Cerchi di controllarti mentre trangugi in piedi due biscotti e il latte freddo direttamente davanti al frigorifero, ma con la testa sei già in stanza che ti stai vestendo.
Ti bardi con tutte le protezioni, prendi la borsa da serbatoio e scendi le scale, ogni passo ti porta più vicino alla motocicletta, il canto degli uccellini ti fa salire la pressione nelle arterie.
Come in un circuito ben funzionante, il sangue scorre e porta il nutrimento al corpo, idee e fantasie al cervello. Apri il portoncino e la luce dell’alba si infila negli occhi e ti fa sentire uomo, ti fa tornare libero.
Apri il box, attacchi la borsa al serbatoio e porti la motocicletta alla luce diafana delle sei del mattino.
Accendi la moto e senti il motore che rimbomba metallico nell’atrio.
Ti infili il casco con il viso rivolto verso ai primi, lunghissimi e penetranti raggi del sole.
Sei pronto.
Apri il cancello, e come ultima cosa ti infili i guanti. Monti in sella, togli il cavalletto.
La mano sinistra schiaccia la frizione, lo stesso piede pesta sulla leva del cambio e il primo clak sonoro ti fa partire verso un viaggio.
Un altro, increbile, meraviglioso ed infinito viaggio.
Una possibilità che ti viene concessa, regalata. Non te l’aspetti, è una cosa che devi cogliere quando ti viene proposta, senza esitazioni.
Tre, forse quattro giorni liberi. E la fantasia corre veloce, velocissima, sente il bisogno incredibile di entrare in possesso di una bella cartina dettagliata che concretizzi la tua possibilità.
Ma la cartina diventa immensa, ti ci perdi la sera, la testa che scoppia mentre scorre avida sulle strade, a cercare di immaginare l’asfalto, i panorami, le curve ed i passi, i tornanti e gli scorci.
E cominci quell’altalena che è fatta di fogli excel in cui annoti precisamente di quante paia di mutande avrai bisogno e di quanti chilometri stimerai di percorrere, e di notti in cui la prima ora a letto è uno scorrere incessante di fantasie di ruote che scivolano veloci su un asfalto sconosciuto.
Il giorno prima ti scopri a mettere sul letto tutto quello che hai elencato sulla lista, a spuntare con una vecchia bic tutto quello che ti serve, a fare mente locale su tutto quello che ti serve.
Intanto la respirazione è accelerata, la testa leggera, una sorda eccitazione distrae dalla preparazione del bagaglio e conduce la mente a quello che sarà il viaggio.
La borsa è pronta, la moto è carica. E’ bella pulita, la catena ingrassata e il rumore che dà è una bellezza. L’olio buono, pronto a lubrificare gli infiniti cicli del motore.
Le ruote gonfie, il serbatoio pieno di carburante, la moto lucida e impaziente.
Richiudi il box, sali le scale lentamente. La cena ha poco sapore, il film fa poca presa sulla tua immaginazione.
Vai a letto, ma il materasso è scomodo, un’asse di legno che ti impedisce di cadere nell’oscuro mondo del sonno.
Continui a riandare a lei, tre piani più sotto. A quelle chiavi appoggiate sopra al tavolo, insieme alla borsa da serbatoio, al portafogli e la cartina.
La mattina arriva prima della sveglia. L’acqua fredda sciacqua via ogni residuo del sonno, l’eccitazione ti sveglia in un secondo e lo sguardo fuori dalla finestra è così carico di voglia di uscire che i tuoi movimenti si fanno rapidi e impazienti.
Cerchi di controllarti mentre trangugi in piedi due biscotti e il latte freddo direttamente davanti al frigorifero, ma con la testa sei già in stanza che ti stai vestendo.
Ti bardi con tutte le protezioni, prendi la borsa da serbatoio e scendi le scale, ogni passo ti porta più vicino alla motocicletta, il canto degli uccellini ti fa salire la pressione nelle arterie.
Come in un circuito ben funzionante, il sangue scorre e porta il nutrimento al corpo, idee e fantasie al cervello. Apri il portoncino e la luce dell’alba si infila negli occhi e ti fa sentire uomo, ti fa tornare libero.
Apri il box, attacchi la borsa al serbatoio e porti la motocicletta alla luce diafana delle sei del mattino.
Accendi la moto e senti il motore che rimbomba metallico nell’atrio.
Ti infili il casco con il viso rivolto verso ai primi, lunghissimi e penetranti raggi del sole.
Sei pronto.
Apri il cancello, e come ultima cosa ti infili i guanti. Monti in sella, togli il cavalletto.
La mano sinistra schiaccia la frizione, lo stesso piede pesta sulla leva del cambio e il primo clak sonoro ti fa partire verso un viaggio.
Un altro, increbile, meraviglioso ed infinito viaggio.