Un sogno strano.
Inviato: lunedì 7 marzo 2005, 15:22
Un sogno strano.
La partenza, di notte, da un posto vicino alla provinciale che collega Melzo a Melegnano.
C’è una lunga rampa che ti porta proprio sulla statale 11.
Accendo la moto, il fascio di luce penetra l’oscura rampa che curva a destra.
Ma la rampa si diluisce, si restringe e si allunga indefinitamente. Il fondo si fa sterrato, delle striscie innevate spezzano lo strano colore di caffè della terra, che il faro illumina a fatica.
Accendo gli abbaglianti, ma per quanto profondo sia il dardo luminoso che scaglio nelle tenebre, il futuro è incerto.
Mi concentro sulla strada insidiosa, ed ecco che avviene il giorno. Passano pochi istanti, ma ho come la consapevolezza di aver saltato diverse ore.
E’ pieno pomeriggio ormai. La corsia è diventata larga come quella di un’autostrada.
Intravedo un cartello molto strano: su fondo bianco ci sono sei cerchi rossi, sei divieti di circolazione, ognuno con qualche scritta particolare.
Ma non mi fermo, non mi frega di sapere che cosa sto violando.
Due piastre di un asfalto ormai quasi bianco, con l’ossatura in bella vista.
Ed ecco i piastroni di cemento: lunghi dieci metri, larghi tre, affiancati. Sono su un ponte.
Guardo giù, una distanza infinita, chilometri di vuoto. Sto scavalcando una valle boscosa e scurissima.
Ho paura: il ponte è inutilizzato da decenni, sembra. Forse è pericolante, forse in qualche punto è crollato.
Aumento la velocità, ma il ponte non finisce, sono ormai dieci minuti che lo sto attraversando.
Come è cominciata, la strada finisce.
Sono sugli ultimi due lastroni. Parcheggio Adler e mi guardo in giro.
La luce è bianca e intensa, è quella delle due del pomeriggio di un agosto torrido e terribile.
Ma non fa il caldo di agosto, non sento la temperatura: ma c’è un silenzio infernale; non il canto di un uccello, il frinire di un grillo, non una bava di vento.
Solo questo cemento incredibilmente vecchio, residuo postatomico di una guerra combattuta cento anni fa.
Scendo dalla rampa, e dopo un brevissimo tratto di uno sterrato polveroso mi trovo in una vecchissima e desolata stazione.
La stazione è viva: ci sono delle littorine che fanno avanti e indietro, e sulla stazione c’è scritto “Orte”.
Ma Orte è quasi a Roma! In due ore ho attraversato tutta questa strada? Ma saranno state due ore?
Il problema ora è capire che strada fare per tornare a casa, sono tanti chilometri.
Suona la sveglia, sono le sette e venti.
La desolata assenza del lunghissimo ponte ancora mi inquieta. Quella sensazione di luogo fuori dal mondo, fuori dal tempo, fuori dallo spazio.
Solo la mia moto la mia sicurezza.
Lampz by Schwarz!
La partenza, di notte, da un posto vicino alla provinciale che collega Melzo a Melegnano.
C’è una lunga rampa che ti porta proprio sulla statale 11.
Accendo la moto, il fascio di luce penetra l’oscura rampa che curva a destra.
Ma la rampa si diluisce, si restringe e si allunga indefinitamente. Il fondo si fa sterrato, delle striscie innevate spezzano lo strano colore di caffè della terra, che il faro illumina a fatica.
Accendo gli abbaglianti, ma per quanto profondo sia il dardo luminoso che scaglio nelle tenebre, il futuro è incerto.
Mi concentro sulla strada insidiosa, ed ecco che avviene il giorno. Passano pochi istanti, ma ho come la consapevolezza di aver saltato diverse ore.
E’ pieno pomeriggio ormai. La corsia è diventata larga come quella di un’autostrada.
Intravedo un cartello molto strano: su fondo bianco ci sono sei cerchi rossi, sei divieti di circolazione, ognuno con qualche scritta particolare.
Ma non mi fermo, non mi frega di sapere che cosa sto violando.
Due piastre di un asfalto ormai quasi bianco, con l’ossatura in bella vista.
Ed ecco i piastroni di cemento: lunghi dieci metri, larghi tre, affiancati. Sono su un ponte.
Guardo giù, una distanza infinita, chilometri di vuoto. Sto scavalcando una valle boscosa e scurissima.
Ho paura: il ponte è inutilizzato da decenni, sembra. Forse è pericolante, forse in qualche punto è crollato.
Aumento la velocità, ma il ponte non finisce, sono ormai dieci minuti che lo sto attraversando.
Come è cominciata, la strada finisce.
Sono sugli ultimi due lastroni. Parcheggio Adler e mi guardo in giro.
La luce è bianca e intensa, è quella delle due del pomeriggio di un agosto torrido e terribile.
Ma non fa il caldo di agosto, non sento la temperatura: ma c’è un silenzio infernale; non il canto di un uccello, il frinire di un grillo, non una bava di vento.
Solo questo cemento incredibilmente vecchio, residuo postatomico di una guerra combattuta cento anni fa.
Scendo dalla rampa, e dopo un brevissimo tratto di uno sterrato polveroso mi trovo in una vecchissima e desolata stazione.
La stazione è viva: ci sono delle littorine che fanno avanti e indietro, e sulla stazione c’è scritto “Orte”.
Ma Orte è quasi a Roma! In due ore ho attraversato tutta questa strada? Ma saranno state due ore?
Il problema ora è capire che strada fare per tornare a casa, sono tanti chilometri.
Suona la sveglia, sono le sette e venti.
La desolata assenza del lunghissimo ponte ancora mi inquieta. Quella sensazione di luogo fuori dal mondo, fuori dal tempo, fuori dallo spazio.
Solo la mia moto la mia sicurezza.
Lampz by Schwarz!